Sommario: 1. Regime anteriore alla novella del 2012. 2. Assetto delle competenze dopo la novella del 2012. 2.1. Competenza sull’adozione dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale. 2.2. Competenza sull’adozione dei provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale. 2.3. Ruolo propulsivo del pm e dei parenti in tali procedimenti. 2.4. Rito applicabile. 2.5. Competenza sulle richieste di modifica. 3. Prospettive di riforma.
1. Regime anteriore alla novella del 2012
Secondo l’originaria formulazione dell’art. 38 disp. att. c.c., il riparto di competenze tra giudice ordinario e giudice minorile seguiva i seguenti criteri: a. se nell’esercizio della potestà si fosse realizzato un pregiudizio all’interesse del minore, la competenza ai sensi dell’art. 333 c.c. si sarebbe radicata in capo al T.m.; b. diversamente (ed in termini residuali) sarebbe stato competente il T.o. Ora, l’art. 38, primo comma, disp. att. c.c., alla stregua del testo riformato dalla legge 19.05.1975, n. 151, elencava specificamente gli artt. che regolavano provvedimenti di competenza del giudice minorile mentre il secondo comma statuiva la competenza residuale del giudice ordinario. Ai sensi dell’art. 317 bis c.c. (secondo la formula vigente ratione temporis), come richiamato dall’art. 38 disp. att. c.c., era assegnata al T.m. anche la competenza a decidere in tema di esercizio della potestà genitoriale sui figli naturali e di regolamentazione dei rapporti tra prole naturale e genitore non affidatario. In forza del richiamo degli artt. 333-336 c.c., ricadevano nella competenza del giudice minorile anche le domande dirette a ottenere la pronuncia di provvedimenti cautelari e temporanei idonei a ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, benché esse non fossero tali da legittimare la radicale decadenza dalla potestà.
Rimaneva alquanto dibattuto, di contro, il problema circa l’individuazione della competenza in ordine all’esercizio della potestà sul minore in pendenza di un procedimento di separazione tra coniugi. E ciò in ragione della precedente formulazione dell’art. 155, terzo comma, c.c., che prevedeva il ricorso al T.o. nel caso in cui il coniuge separato avesse addebitato all’altro coniuge decisioni pregiudizievoli della prole. Nessuna questione si sarebbe posta per le domande volte a ottenere provvedimenti ablativi della potestà, chiaramente devolute alla competenza del T.m. Non altrettanto certa sarebbe stata la distribuzione delle competenze in ordine all’assunzione dei provvedimenti convenienti ex art. 333 c.c. in pendenza di separazione, annullamento del matrimonio e divorzio. Tradizionalmente la linea di discrimine era rappresentata, sulla scorta del petitum e della causa petendi, dalla natura del provvedimento invocato: qualora la misura richiesta avesse implicato una compressione della potestà genitoriale, quale diretta conseguenza della condotta del genitore pregiudizievole al figlio, sarebbe stato competente il giudice minorile; in ogni altro caso di individuazione del genitore più idoneo a prendersi cura della prole, ai fini dell’affidamento, la competenza sarebbe rimasta ferma in capo al giudice ordinario (cfr. Cass. 4.02.2000, n. 1213; idem 15.03.2001, n. 3765).
Con l’introduzione della riforma del 2006 sull’affido condiviso (legge 8.02.2006, n. 54), la questione si è posta in termini innovativi. E ciò in forza della nuova formulazione dell’art. 155 c.c., secondo il quale il Tribunale pone in essere ogni altro provvedimento nell’interesse della prole. Anche l’art. 709 ter c.p.c. risaltava la medesima questione, poiché demandava al giudice della separazione la cognizione delle controversie inerenti alle modalità di affidamento e all’esercizio della potestà sulla prole, anche in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque avessero arrecato pregiudizio al minore od ostacolato il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Sicché si è rilevato che anche il T.o. adito in sede di separazione o divorzio poteva emettere provvedimenti incidenti sull’affidamento della prole che avessero tenuto conto della ricorrenza di situazioni pregiudizievoli per i figli, atteso che era comunque necessario ponderare l’interesse materiale e morale del minore con un’ampia gamma di provvedimenti adottabili, come ad esempio l’affidamento a terzi o ai servizi sociali (cfr. Cass. 10.10.2008, n. 24907). La querelle è stata risolta da una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità in sede di regolamento di competenza (cfr. Cass. 5.10.2011, n. 20354), la quale, stigmatizzando la concezione angusta e formalistica del più generale riparto di competenze fra T.o. (quale giudice della separazione o del divorzio) e T.m., ha puntualizzato che siffatta impostazione precluderebbe al giudice ordinario di assumere provvedimenti più articolati, che – pur senza pretermettere radicalmente il ruolo genitoriale – si facciano carico del contingente interesse dei minori stessi. Al riguardo, era precisato che sia in tema di separazione sia in tema di divorzio è consentito al giudice di decidere anche ultra petitum, assumendo provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale di essa. Sicché è alquanto artificioso o addirittura impossibile distinguere una domanda di modifica pura e semplice da una domanda basata sul contegno pregiudizievole (o radicalmente abusivo) del genitore. In questi casi, la competenza speciale del T.o. sarebbe prevalsa su quella generale dell’organo giudiziario minorile, anche con riferimento all’adozione dei provvedimenti limitativi della potestà. La competenza meramente residuale del Tribunale dei minorenni sarebbe rimasta in ogni caso ferma, non già sotto il profilo dell’oggetto della domanda, quanto in ragione dei soggetti agenti, qualora il procedimento ex art. 333 c.c. fosse stato attivato in casi eccezionali di necessità e urgenza, anche in pendenza di procedimenti di separazione o divorzio, dal pm o da parenti (parti prive di impulso processuale nei giudizi pendenti davanti al T.o.).
Sempre nel regime antecedente all’entrata in vigore della legge 10.12.2012, n. 219 (con decorrenza dall’1.01.2013), in ossequio al principio fondante per la tutela del minore della concentrazione in capo a un’unica autorità giudiziaria delle domande di affidamento e di mantenimento dei figli naturali (cfr. Cass. 3.04.2007, n. 8362), si era consolidata la regola della competenza unitaria a provvedere del T.m., in guisa della contestualità delle misure invocate relative all’esercizio della potestà e all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall’altro. E ciò alla stregua dell’inscindibilità delle valutazioni inerenti all’affidamento e alla regolamentazione degli aspetti patrimoniali. La competenza del T.o. sarebbe rimasta intatta solo nel caso di proposizione di ricorso attinente in via esclusiva agli aspetti patrimoniali (cfr. Cass. 25.08.2008, n. 21754). Sicché, qualora nel giudizio instaurato davanti al T.o., ai fini della regolamentazione degli aspetti patrimoniali relativi alla tutela della prole naturale, fosse stata spiegata riconvenzionale avente ad oggetto l’affidamento, il T.o. avrebbe dovuto spogliarsi della causa nel suo complesso, in ragione della competenza funzionale del T.m., fatta salva l’ipotesi in cui fosse stato adito con il rito monitorio di cui all’art. 148 c.c. (in tale evenienza, avrebbe mantenuto la competenza sulla sola domanda principale). E così il T.m. sarebbe stato competente a pronunciarsi sulla modifica delle condizioni economiche da esso stesso disposte.
2. Assetto delle competenze dopo la novella del 2012
Il quadro normativo è radicalmente mutato con l’entrata in vigore della legge 10.12.2012, n. 219, che detta le disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, cui ha fatto seguito il d.lgs. 28.12.2013, n. 154, entrato in vigore a decorrere dal 7.02.2014. La parificazione tra figli legittimi e naturali ha determinato l’attribuzione di competenze esclusive del T.o. sulle questioni di affidamento e mantenimento concernenti i figli naturali. Segnatamente, l’art. 38, primo comma, disp. att. c.c. ha individuato specificamente i procedimenti di competenza del T.m. (quelli contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, 251 e 317 bis c.c.). Dopodiché, ha stabilito che per i procedimenti di cui all’art. 333 c.c. (rectius per i provvedimenti limitativi della responsabilità) resta esclusa la competenza del T.m. nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. (rectius procedimenti sulla responsabilità genitoriale precipuamente riferiti ai figli naturali). In tali casi, la competenza, per tutta la durata del procedimento, spetta al giudice ordinario, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo. Il secondo comma individua poi, in via residuale, le competenze del T.o. per tutti i provvedimenti per i quali non è prevista la specifica competenza del T.m. Infine, la norma prevede che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applichi il rito camerale, in quanto compatibile.
La formula della disposizione ha posto i seguenti problemi interpretativi: a. l’ambito in cui opera l’attrazione della competenza del T.o. ai fini dell’adozione dei provvedimenti de potestate ex art. 333 c.c.; b. l’estensione della competenza del T.o. con riferimento ai provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale; c. il ruolo propulsivo del pm e dei parenti in tali procedimenti; d. il rito applicabile ai procedimenti de potestate trattati dal T.o.; e. la competenza sulle richieste di modifica. La soluzione di questi nodi non può prescindere dall’immanente esigenza di armonizzazione dei procedimenti e dall’inevitabile raccordo degli interventi tra le varie autorità giudiziarie. E ciò in vista dell’obiettivo di tutelare e promuovere “azioni a misura di minore”, obiettivo inserito tra le finalità indicate dalle Linee Guida del Consiglio d’Europa del 17.11.2010, fatte proprie dall’Unione Europea in data 15.02.2011.
2.1. Competenza sull’adozione dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale
Nessun dubbio ricorre quando il giudizio de potestate ex art. 333 c.c. sia proposto ex novo da uno dei genitori dinanzi al T.m. in pendenza di un procedimento separativo (rectius di separazione, di divorzio, di annullamento o nullità del matrimonio o di responsabilità dei genitori naturali) davanti al T.o. In questa evenienza, il T.m. deve dichiarare la propria incompetenza, essendo competente il T.o. davanti al quale è in corso tra le stesse parti il giudizio separativo. Dinanzi al T.o. il procedimento de potestate deve essere riassunto nei termini di legge.
Si discute sulla forma del provvedimento da adottare a cura del T.m., alla stregua della natura non decisoria e non definitiva dei provvedimenti di volontaria giurisdizione rilevanti in questa sede (cfr. Cass. S.U. 15.07.2003, n. 11026; più recentemente Cass. 13.09.2012, n. 15341). Nondimeno, per la declaratoria di incompetenza (sopravvenuta) per materia o di continenza ex art. 39, secondo comma, c.p.c. (in adesione alla teoria funzionale e non meramente quantitativa della continenza, che diviene così sostanzialmente una sottospecie della connessione ex art. 40 c.p.c.) propende la tesi secondo cui anche in tali procedimenti, da trattare in camera di consiglio, l’intervento del giudice trova il suo presupposto in una situazione conflittuale che impedisce ai titolari degli interessi coinvolti di provvedere direttamente alla loro regolamentazione (cfr. Cass. 22.05.2003, n. 8115). Non si tratta di assoluta incompetenza funzionale, poiché la prima parte dell’art. 38, primo comma, disp. att. c.c. attribuisce pur sempre la competenza sui provvedimenti ex art. 333 c.c. al T.m., sicché la competenza del T.o. opera solo quando sia pendente tra le stesse parti un giudizio separativo.
Qualora, per converso, il giudizio ex art. 333 c.c. sia proposto da uno dei genitori dinanzi al T.m. in assenza di un giudizio separativo, che sia instaurato solo successivamente, opererà la vis actractiva in favore del T.o., alla stregua delle regole processuali sulla connessione ex art. 40 c.p.c., sicché dovrà essere concesso un termine per la riassunzione davanti al giudice della causa prevalente. Nondimeno, qualora il T.m. ritenga che la causa principale sia in uno stato tale da non consentire l’esauriente trattazione e decisione della causa connessa, dovrà concludere il procedimento de potestate davanti a sé e trasmettere al T.o. copia del provvedimento emesso (eventualmente con copia degli atti più significativi). Si tratta, comunque, di decisione provvisoria, volta ad assicurare la soddisfazione degli interessi indefettibili e improcrastinabili del minore, esecutiva e ultrattiva, destinata ad essere assorbita nelle successive decisioni adottate dal To., che potrà recepirla o modificarla. Qualora il giudizio riassunto davanti al T.o. non sia più coltivato o sia stato già definito o, comunque, non sia più in corso, il giudice, se ne ravvisi la necessità, può trasmettere gli atti al pm minorile perché assuma le sue iniziative (rectius perché instauri eventualmente nuovo procedimento dinanzi al T.m.).
Secondo altra ricostruzione, qualora al momento della proposizione del ricorso ex art. 333 c.c. davanti al T.m. non sia in corso alcun giudizio separativo, instaurato solo successivamente, opererà il principio della perpetuatio jurisdictionis ex art. 5 c.p.c., principio di rilevanza costituzionale (in quanto corollario del principio del giudice naturale precostituito), attesa la natura contenziosa di tali procedimenti (cfr., a contrario, in materia di amministrazione di sostegno, Cass. 7.05.2012, n. 6880), con l’effetto che la competenza si radicherà irreversibilmente davanti al T.m. Questa soluzione è però suscettibile di determinare un contrasto di giudicati.
Si noti che la norma allude ai procedimenti in corso e non semplicemente pendenti ma in stato di quiescenza (si pensi al caso di pendenza dei termini per spiegare appello o reclamo). Ne discende che in tale evenienza il T.m. mantiene la propria competenza. Così come la competenza si radica davanti al T.m. quando il contenzioso in sede ordinaria riguardi i soli profili del mantenimento e non dell’affidamento.
2.2. Competenza sull’adozione dei provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale
Si ritiene che tra i provvedimenti che il giudice del procedimento separativo può adottare non rientri la pronuncia ex art. 330 c.c., benché l’art. 38, primo comma, disp. att. c.c. stabilisca che per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetti al g.o. La decadenza dalla potestà (rectius dalla responsabilità) genitoriale non si ritiene, infatti, compatibile con la natura delle questioni che attengono all’affidamento e al mantenimento dei minori. Queste ultime presuppongono tutte il diritto soggettivo del padre e della madre alla genitorialità. Qualora si realizzi un abuso dei poteri e una violazione dei doveri a carico di un genitore, tale da causare un grave pregiudizio al figlio e da legittimare l’adozione di misure ablative della sua responsabilità, la competenza non può che spettare al T.m. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha sancito, anche recentemente (cfr. Cass. 8.03.2013, n. 5847), la reciproca autonomia delle attribuzioni del T.m., competente ad assumere i provvedimenti incidenti sulla spettanza (an) della responsabilità genitoriale, e del T.o., quale giudice della separazione competente sulle modalità di esercizio (quomodo) della responsabilità medesima (cfr. Cass. 24.03.2011, n. 6841), anche quando l’affidamento della prole sia richiesto in ragione dell’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori (cfr. Cass. 5.10.2011, n. 20352). Sicché non vi è alcuna interferenza tra aspetti concernenti il riconoscimento della responsabilità e aspetti inerenti al suo esercizio.
Secondo altra impostazione, volta a dare un senso alla norma e a risaltare la discriminazione che la norma stessa opera tra “procedimenti” e “provvedimenti”, la competenza sulla decadenza in capo al T.o. spetterebbe solo quando tale richiesta si innesti, in termini di aggravamento, su un sub-procedimento ex art. 333 c.c. già definito in pendenza del giudizio separativo.
2.3. Ruolo propulsivo del pm e dei parenti in tali procedimenti
La norma prevede l’attrazione della competenza sui provvedimenti de potestate in favore del T.o. quando il procedimento in corso davanti a quest’ultimo verta tra le stesse parti. Si pone, allora, il problema di stabilire se tale vincolo operi anche quando la richiesta dei provvedimenti ex art. 333 c.c. provenga dal pm minorile o dai parenti legittimati ex art. 336 c.c., che non possono promuovere il giudizio separativo davanti al T.o. È noto che nei procedimenti di separazione e divorzio il pm è un mero interventore ex art. 70 c.p.c. mentre è escluso l’intervento, anche ad adiuvandum, dei parenti. Alla luce del dato letterale, in questo caso la competenza del T.o. è esclusa. Ciò non toglie che i due uffici siano tenuti alla trasmissione degli atti allo scopo di assicurare un opportuno coordinamento dei rispettivi interventi.
Quando la richiesta dei provvedimenti de potestate provenga dalle parti e la competenza spetti al T.o., comunque il pm ordinario interveniente dovrà esercitare i poteri che gli competono con particolare scrupolo, in ragione della natura degli interessi incisi, avvalendosi eventualmente dei poteri di integrazione istruttoria, senza preclusioni, essendo il medesimo organo di rilevanza pubblicistica, precisando le conclusioni e avvalendosi, se del caso, del potere di impugnazione che gli spetta su tali questioni, in applicazione estensiva dell’art. 740 c.p.c.
2.4. Rito applicabile
Qualora la competenza a decidere sulle questioni de potestate spetti al T.o., si pone il problema delle garanzie da assicurare alle parti in ordine al rito applicabile. L’art. 38 disp. att. c.c. richiama il rito camerale. Resta comunque il fatto che queste misure possono essere assunte senza garanzia di collegialità dal presidente nella fase sommaria o dal giudice istruttore nella fase a cognizione piena dei giudizi di separazione e divorzio. In questi casi, proprio in guisa del richiamo alle disposizioni dedicate ai procedimenti camerali, in quanto compatibili, deve essere comunque assicurata la reclamabilità delle misure adottate sul punto. All’uopo, è ragionevole applicare un meccanismo analogo a quello previsto dagli artt. 709 ter e 710 c.p.c., con l’effetto che, restando ferma la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali davanti alla Corte d’appello, i provvedimenti assunti dal giudice istruttore nel corso del giudizio separativo saranno reclamabili davanti al Tribunale collegiale mentre i provvedimenti di modifica emessi successivamente alla sentenza saranno reclamabili in Corte d’appello.
Con riguardo al rito applicabile a tutela dei figli naturali, troverà applicazione tout court la procedura camerale con garanzia di collegialità, senza che operino le scansioni tipiche dei procedimenti di separazione e divorzio.
Infine, la vigilanza sull’esecuzione delle misure de potestate adottate compete al g.t.
2.5. Competenza sulle richieste di modifica
In forza delle innovative attribuzioni in favore del T.o., le richieste di modifica dei provvedimenti adottati dal T.m. in tema di affidamento e mantenimento dei figli naturali, proposte successivamente al 2.01.2013, ai sensi dell’art. 710 c.p.c. o dell’art. 9 della legge 1.12.1970, n. 898, sono di pertinenza del T.o.
Qualora sia presentato ricorso ex art. 330 c.c. con contestuale domanda di modifica dei provvedimenti adottati nel procedimento separativo, vi è una separazione delle competenze: il ricorso ex art. 330 c.c. deve essere trattato dal T.m. mentre la modifica dei provvedimenti separativi spetta alla competenza del T.o.
Quando le parti richiedano la sola modifica del provvedimento ex art. 333 c.c. assunto dal T.o. nel giudizio separativo, la competenza spetta al T.m. mentre, laddove la modifica si estenda, oltre che alle misure ex art. 333 c.c., anche agli altri provvedimenti assunti nel giudizio separativo, la competenza per intero è del T.o.
3. Prospettive di riforma
Gli ultimi interventi legislativi commentati presentano inevitabilmente profili lacunosi, senza escludere il carattere di frammentarietà nella ricostruzione del riparto di competenze. Sicché quanto mai opportuno appare un intervento organico diretto alla costituzione di un unico Tribunale della persona e delle relazioni familiari, che unifichi le competenze oggi distribuite tra molteplici organi giudiziari.
Nelle ultime legislature sono state presentate più proposte di riforma ordinamentale che vanno in questa direzione. Il Tribunale per la famiglia e i minori, costituito in ogni circondario, dovrebbe assommare le competenze sui procedimenti de potestate nonché su quelli relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nei giudizi separativi. Siffatta impostazione consentirebbe una piena realizzazione dei principi costituzionali del giusto processo e dell’adeguata tutela dell’interesse dei minori. In tale ottica si muovono più d.d.l. Il d.d.l. n. 2517 C, recante Misure urgenti e delega in materia di diritto di famiglia e dei minori, auspicava l’attribuzione a un unico organo giudiziario della cognizione di tutte le tematiche inerenti la famiglia e i minori. Inoltre, prospettava l’introduzione di significative modifiche degli aspetti processuali, al fine di meglio tutelare i diritti dei soggetti coinvolti. All’uopo, si prevedeva la soppressione del T.m. e la creazione di sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti d’appello, a composizione esclusivamente togata. Secondo altra versione, la coesistenza con i T.m. potrebbe giustificarsi in ragione dell’attribuzione di competenze a questi ultimi nel solo settore penale. Nello stesso senso si esprime il d.d.l. n. 3323, che contempla l’istituzione di sezioni specializzate della famiglia e delle persone presso i Tribunali e le Corti d’appello, senza esclusione alcuna, nonché l’istituzione di analoghe sezioni specializzate presso ogni ufficio di procura. Ancora, i d.d.l. nn. 2252 e 5165 prevedono anch’essi l’istituzione del Tribunale della persona e della procura della persona. Da ultimo, lo schema di disegno di legge delega al governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, approvato dal Consiglio dei ministri il 31.8.2014, all’art. 1, ha testualmente previsto che il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti l’implementazione del Tribunale delle imprese e l’istituzione del Tribunale della famiglia e della persona, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: … 2) quanto al Tribunale della famiglia e della persona: a) istituire presso tutte le sedi di Tribunale le “sezioni specializzate per la famiglia e la persona”; b) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate di cui alla precedente lettera a): b.1) tutte le controversie attualmente di competenza del Tribunale per i minorenni in materia civile di cui all’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile; b.2) le controversie attualmente devolute al Tribunale civile ordinario in materia di stato e capacità della persona, rapporti di famiglia e di minori, ivi compresi i giudizi di separazione e divorzio; b.3) i procedimenti di competenza del giudice tutelare in materia di minori e incapaci; b.4) le controversie relative al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione internazionale disciplinate dal decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e successive modificazioni, nonché dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150; c) concentrare presso le sezioni specializzate aventi sede nel capoluogo del distretto di Corte d'appello, in aggiunta alle competenze di cui alla precedente lettera b): c.1) i procedimenti relativi alle adozioni; c.2) i procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e ai richiedenti protezione internazionale; c.3) i procedimenti relativi alla rettificazione di attribuzione di sesso, ai diritti della personalità, ivi compresi il diritto al nome, all’immagine, alla reputazione, all’identità personale, alla riservatezza e tutte le questioni afferenti l’inizio e fine vita; d) individuare le materie riservate alla competenza collegiale; e) assicurare alla sezione l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materie di competenza; f) prevedere che le attribuzioni conferite dalla legge al pm nelle materie di competenza delle sezioni specializzate siano esercitate da magistrati assegnati all’ufficio specializzato per la famiglia e per i minori, costituito all’interno della procura della Repubblica presso i Tribunali dove sono istituite le sezioni; g) rideterminare le dotazioni organiche delle sezioni specializzate, dei Tribunali civili e dei Tribunali per i minorenni, adeguandole alle nuove competenze; h) disciplinare il rito in modo uniforme e semplificato.