Una premessa
I magistrati italiani vivono in modo ambivalente il rapporto con il circuito dell’autogoverno: da una parte, la diffusa sensazione della sua inefficacia; dall’altra, il timore di qualsiasi intromissione nelle modalità di esercizio della giurisdizione. Le valutazioni di professionalità sono la cartina di tornasole di tali sentimenti.
Se è comune la consapevolezza che l’autogoverno non sia capace di individuare le mele marce, evidenziando le eventuali gravi lacune di professionalità, è pure diffusa l’avversione a qualsiasi strumento che renda effettiva la verifica della carriera dei singoli magistrati.
Eppure, la magistratura italiana potrebbe trovare un ulteriore argomento contro le sistematiche campagne di delegittimazione, proprio nella serena ma seria verifica della professionalità di ciascuno.
Vedremo quali sono le lacune dell’attuale sistema e le possibili soluzioni, sempre consapevoli che solo se l’autogoverno svolge bene i suoi compiti costituzionali, si possono prevenire i tentativi di creare sistemi di controlli e verifiche dall’esterno, sicuro vulnus all’indipendenza e autonomia dei magistrati.
L’oggetto del parere
Il sistema disegnato dal legislatore e dalle circolari consiliari prevede valutazioni quadriennali, a partire dal decreto ministeriale di nomina e fino alla settima valutazione, ossia al ventottesimo anno di carriera.
Già tale dato meriterebbe una riflessione, giacché non è l’anzianità di servizio che garantisce la migliore professionalità ed, anzi, la maggiore anzianità moltiplica le vocazioni ai posti direttivi e semidirettivi, per i quali le specifiche attitudini devono essere valutate, anche avendo una ricognizione completa e aggiornata della storia professionale del magistrato.
Capita, invece, che i pareri attitudinali per gli uffici direttivi vengano dati nonostante non sia stata valutata la professionalità del candidato da molti anni. La valutazione di professionalità deve fondarsi sull’allegazione e la valutazione di dati di fatto e non può risolversi in un mero esercizio di stile.
Secondo un fortunato slogan, i pareri devono essere più oggettivi e con meno aggettivi.
Anche per raggiungere tale scopo, la valutazione deve riguardare fatti concreti e qualità specifiche del magistrato. A tale fine si richiama la circolare sui Nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati (Circolare n. 20691 – successivamente emendata con le deliberazioni dell’8.10.2007, 28.6.2011, 25.7.2012, 13.11.2013, 6.3.2014, 13.3.2014, 14.5.2014, 23.7.2014, 24.7.2014, 10.9.2014, 4.3.15 e 26.3.2015) facilmente rinvenibile in www.cosmag. it ed ora innanzi chiamata genericamente circolare.
In particolare, il giudizio deve riguardare i parametri dell’indipendenza, imparzialità ed equilibrio (unico per il quale, in assenza di elementi negativi, possa usarsi la formula “nulla da rilevare”); capacità; laboriosità; diligenza; impegno.
È importante premettere che il capo 2.7 della circolare ribadisce che «gli orientamenti politici, ideologici o religiosi del magistrato non possono costituire elementi rilevanti ai fini della valutazione di professionalità» e che «la valutazione di professionalità… non può riguardare l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove».
Tanto al fine di sgomberare il campo dalle frequenti polemiche circa il rischio che il momento della valutazione di professionalità possa servire a imporre modelli culturali di magistrato o addirittura a censurare l’attività giurisdizionale.
Ciascun parametro deve essere vagliato, verificando la sussistenza di alcuni indicatori dettagliatamente indicati al capo V della circolare sui criteri per la valutazione di professionalità, al quale si rimanda.
Le fonti di conoscenza
La documentazione acquisibile e utilizzabile ai fini della valutazione di professionalità (le c.d. fonti di conoscenza) è elencata al capo VII ed è costituita da: rapporti dei dirigenti degli uffici che si sono succeduti nel quadriennio; segnalazioni pervenute al Consiglio giudiziario o ai dirigenti degli uffici dal Consiglio dell’ordine degli avvocati competente per territorio; informazioni inserite nel fascicolo personale del magistrato; verbali di audizione del magistrato; verbali di seduta del Consiglio giudiziario; eventuali atti che si trovino nella fase pubblica di uno dei processi trattati dal magistrato in valutazione, acquisiti su specifica richiesta di un componente del Consiglio giudiziario; relazione del magistrato interessato illustrativa del lavoro svolto; informazioni esistenti presso la Prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura; informazioni disponibili presso la Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura; informazioni disponibili presso il Ministero della Giustizia e contenute nelle relazioni ispettive.
È altresì consentita l’utilizzazione di ogni altro atto o documento che fornisca dati obiettivi e rilevanti relativi all’attività professionale e ai comportamenti incidenti sulla professionalità del magistrato.
Rilevano, poi, i provvedimenti e i verbali di udienza, estratti a campione fra quelli del quadriennio in valutazione secondo criteri generali e predeterminati, e quelli prodotti spontaneamente dal magistrato.
La comune esperienza insegna che la fonte principale di conoscenza (spesso l’unica) è rappresentata dal rapporto informativo del capo dell’ufficio e dai provvedimenti estratti a campione e quelli prodotti dal magistrato.
Tale circostanza rappresenta la maggiore criticità del sistema di valutazione perché, se il parere del Consiglio giudiziario deve limitarsi a prendere atto di quanto riportato dal capo dell’ufficio, ci si chiede quale senso abbia una procedura così lunga e faticosa, potendo a questo punto sostituirsi il parere del Consiglio con quello del capo dell’ufficio.
Appare evidente il rischio di tale soluzione: si moltiplicherebbero le condotte di mera accondiscendenza alle pretese del dirigente e si favorirebbe il conformismo giudiziario.
Si creerebbe un ufficio tutto centrato sulla personalità del dirigente, con seri rischi per l’indipendenza interna del singolo magistrato (soprattutto in uffici tendenzialmente gerarchizzati come quelli requirenti).
Del resto, è molto frequente leggere rapporti informativi di stile, inutilmente elogiativi, privi di indicazioni reali sul lavoro del magistrato, redatti più per compiacere (o non dispiacere) il magistrato in valutazione.
Ci si stupisce nel leggere di colleghi, la cui scarsa professionalità è nota, descritti come novelli Calamandrei ma potrebbe, addirittura, corrersi il rischio opposto di rapporti informativi “punitivi” per magistrati invisi al dirigente o che si siano permessi di proporre osservazioni alle decisioni in materia tabellare.
Questo è uno dei punti sui quali l’ANM dovrebbe insistere per consentire la maturazione della magistratura italiana. Il rapporto informativo, e il successivo parere, sono fondamentali per descrivere la carriera di ogni magistrato e devono essere redatti prendendo posizione sui singoli parametri e indicatori elencati nella circolare, senza inutile aggettivazione e soprattutto riferendo fatti e dati concreti.
Pertanto deve essere accolta positivamente la decisione consiliare di raccogliere in una banca dati tutti i rapporti redatti dai Capi degli uffici, per valutarne, in sede di conferma quadriennale nell’incarico direttivo, la qualità e conformità alla circolare.
Ma spetta anche ai Consigli giudiziari evitare atteggiamenti corporativi o meramente burocratici.
Si deve, dunque, rigettare la tentazione di copiare quasi integralmente il rapporto informativo e, soprattutto quando si abbia la percezione che sia stato omesso o ridimensionato qualcosa, esercitare i poteri istruttori.
Infatti, ciascun consigliere, quando sia a conoscenza di particolari deficit di professionalità, può chiedere che siano acquisiti eventuali atti che si trovino nella fase pubblica di uno dei processi trattati dal magistrato in valutazione (per esempio).
Qualora si sappia della pendenza di procedimenti di incompatibilità ambientale o disciplinari, si possono assumere le informazioni esistenti presso la Prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura o presso la Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura e addirittura le informazioni disponibili presso il Ministero della Giustizia e contenute nelle relazioni ispettive.
Nonostante tali poteri istruttori di ufficio, spesso risulta ardua la valutazione di taluni indicatori.
Invero, fra gli indicatori del parametro della capacità vi è quello che impone di verificare “eventuali significative anomalie del rapporto esistente tra provvedimenti emessi o richiesti e provvedimenti non confermati o rigettati, in relazione all’esito delle successive fasi e gradi del procedimento”.
Spesso, l’indicatore è liquidato con la formula “Non risultano significative anomalie” proprio per la difficoltà di monitorare l’esito, nei gradi successivi, delle decisioni prese.
C’è, comunque, il timore che la valutazione della percentuale di “riforma” nei gradi successivi possa trasformarsi in sindacato sull’interpretazione della norma o del fatto, come si è visto vietata in sede di valutazione di professionalità.
Difficile, se non ricorrendo acriticamente alla relazione del procuratore, è valutare l’indicatore proprio della valutazione del pubblico ministero e relativo alla “correttezza delle tecniche di indagine”.
Invero, nessun provvedimento consente di verificare tale dato e, in generale, la minore mole di provvedimenti redatti dai pubblici ministeri riduce ancora di più le fonti di conoscenza per la loro valutazione.
Accade, dunque, per i magistrati della Procura, ancora di più, di affidarsi al solo rapporto informativo del dirigente, circostanza non tranquillizzante se si bada che proprio l’ufficio di Procura è tendenzialmente gerarchico. Si può, dunque, ragionevolmente correre il rischio che i rapporti informativi premino solo i sostituti “fedeli” al capo.
Nel parametro del merito, vi sono gli indicatori: “contributi forniti in camera di consiglio ed attitudine del magistrato ad organizzare il proprio lavoro”. Tali indicatori possono essere valutati solo nel caso di scrupolosi rapporti informativi. Sarebbe dunque opportuno, in sede di rapporto informativo, interrogare chi presiede i collegi ove è inserito il magistrato di valutazione.
Difficile anche descrivere le capacità organizzative, tranne che da quanto risulta dalle statistiche e dai prospetti dei ritardi (che senza dubbio consentono di verificare la capacità di gestione del ruolo).
Se si volesse effettivamente indagare tale capacità, si dovrebbe inevitabilmente cercare il contributo del personale di cancelleria, primo giudice della capacità organizzativa del magistrato, o ricorrere al giudizio dell’utenza.
Strettamente collegato al punto è quello del coinvolgimento degli avvocati nel procedimento di valutazione. Anche questo è tuttora un punto scottante nel dibattito associativo, affrontato troppo spesso con toni demagogici.
Invero, già ora, come si è visto, l’ordine forense può segnalare al Consiglio fatti concreti che possano incidere sulla valutazione della professionalità. Si tratta di evenienza rara ma che non può fare sorgere timori infondati. Le segnalazioni devono riferirsi a fatti concreti e, comunque, giammai rileverebbero se interferissero con l’interpretazione di norme e fatti.
Pare di dubbia utilità, invece, l’esame dei verbali di udienza, prodotti a campione. Invero, la lettura del mero verbale, senza conoscere il merito della causa, e i verbali che l’hanno preceduto e seguito (che invece permetterebbero di verificare il corso dell’intera controversia) assai poche informazioni reca sulla gestione dell’udienza, sul rispetto delle parti processuali, sulla continenza del magistrato.
Queste brevi considerazioni consentono di concludere che l’attuale sistema delle fonti di conoscenza non sempre consente un reale giudizio sulla professionalità del magistrato e che si deve insistere, anche in ambito associativo, per un allargamento delle fonti di conoscenza.
È stato più volte proposto di ricorrere alle indicazioni degli Uffici giudiziari corrispondenti (quello della Procura per valutare i giudici, quello del Tribunale per valutare i pubblici ministeri) visto che nessuno meglio del collega dell’“ufficio di fronte” sa come lavoriamo e organizziamo il nostro lavoro.
Tale soluzione è stata avversata perché foriera di possibili inquinamenti della valutazione (in senso positivo o negativo) dovuti a motivi di colleganza, malanimo, ritorsione, competizione.
Si tratta di pericoli da fronteggiare, sempre avendo presente che le segnalazioni devono avere per oggetto fatti concreti (ritardi in udienza, mancato rispetto dei termini), rispetto ai quali al magistrato in valutazione è sempre consentito fornire spiegazioni.
La fase del giudizio (in relazione a tali fatti e a tutti gli altri emersi nel procedimento) rimarrebbe comunque affidata esclusivamente agli organi dell’autogoverno, all’esito della procedura garantita nei modi che si diranno nel prossimo paragrafo.
L’autorelazione Il procedimento di valutazione di professionalità non deve essere vissuto dal magistrato come un’indebita interferenza o un fastidio ma può essere, invece, l’occasione per verificare il lavoro svolto. Anche a tale fine, la circolare prevede la partecipazione attiva del magistrato in valutazione che: può (entro sette giorni) proporre osservazioni al rapporto informativo del capo dell’ufficio, precisando dati o fornendo informazioni necessarie per confutare eventuali rilievi negativi; chiedere di essere ascoltato dal Consiglio giudiziario anche con l’assistenza di un altro magistrato; depositare atti e memorie; proporre (entro dieci giorni dalla notifica) direttamente al CSM osservazioni al parere reso dal Consiglio giudiziario, produrre documenti e chiedere di essere ascoltato.
Il magistrato poi partecipa della sua valutazione esponendo, nella sua autorelazione, il lavoro del quadriennio. Anche questa non deve essere un’occasione da sprecare riferendo fatti inutili (perché esorbitano il quadriennio in valutazione) o mere valutazioni, che spesso si risolvano, desolatamente, in esibizioni di vanità.
Così come nel rapporto informativo, anche nell’autorelazione si devono allegare fatti concreti. È dunque opportuno che, nel corso del quadriennio, il magistrato monitori l’andamento del suo ruolo, i tempi e le quantità di definizioni dei procedimenti, i ritardi e solleciti la cancelleria a estrarre e diffondere i rilevamenti statistici periodici e i prospetti dei ritardi.
Tanto per poter appuntare i motivi che possano giustificare cali di produttività o ritardi: condizioni di salute, controversie particolarmente complesse, supplenze o coassegnazioni, imprevedibili picchi di sopravvenienze, difficoltà organizzative o scoperture di organico della sezione o dell’ufficio.
Tale ricognizione sarà utile quando, in sede di autorelazione, si potranno rendere le dovute spiegazioni, senza dubbio vagliate dal Consiglio giudiziario con grande attenzione, soprattutto se idonee a giustificare quello che emerge dai meri dati statistici. Tale accorgimento rileva soprattutto per giustificare eventuali ritardi.
A tale proposito, si ricorda che il capo dell’ufficio, nel rapporto informativo, deve segnalare i ritardi nel deposito dei provvedimenti, in quanto indicatore del parametro della diligenza. Appare, sul punto, fondamentale la deliberazione del CSM del 13.11.2013 che, quanto alla valutazione dell’indicatore dei ritardi, ha aggiunto il criterio della comparazione con gli altri magistrati dell’ufficio o della sezione (desumibile dal prospetto dei ritardi allegato al rapporto per la valutazione), delle cause che hanno determinato eventuali ritardi e dei provvedimenti organizzativi eventualmente adottati.
Tali elementi devono anche essere contenuti nella relazione del dirigente e, soprattutto se non vi siano, devono essere allegati dal magistrato in valutazione, anche in sede di osservazioni al rapporto informativo.
Invero, solo attraverso tali dati, i ritardi individuali possono essere interpretati correttamente e ritenuti ininfluenti, ai fini della valutazione di professionalità, non solo se numericamente insignificanti ma anche se dovuti a deficit organizzativi dell’ufficio.
Tanto perché la questione del ritardo nel deposito dei provvedimenti non deve mai essere affrontata come problema del singolo magistrato, ma come questione dell’ufficio, della quale il dirigente si deve fare carico con un attento monitoraggio e adottando le migliori soluzioni organizzative. Nell’autorelazione si potrà descrivere il proprio metodo di lavoro e di gestione del ruolo, in modo da offrire al Consiglio giudiziario una chiave di lettura per gli andamenti statistici ma anche da palesare capacità organizzative.
Si devono allegare le esperienze didattiche, come docente o come discente, soprattutto ora che nel fascicolo personale su www.cosmag.it non sono più automaticamente riportati tutti i corsi ai quali si è partecipato (che invece i magistrati possono recuperare agevolmente dal sito della Scuola).
Appare opportuno anche raccogliere i verbali delle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative nonché per la conoscenza e l’evoluzione della giurisprudenza, al fine di allegarli (qualora rilevanti) all’autorelazione quale indice di diligenza e di impegno.
Le interferenze fra valutazione di professionalità e procedimento disciplinare I due procedimenti, l’uno amministrativo, l’altro giurisdizionale, sono reciprocamente autonomi, come affermato nella giurisprudenza amministrativa e nella normazione consiliare.
Questa reciproca autonomia si esplica sia sul piano della procedura che su quello della decisione di merito. Invero, non vi è alcun obbligo da parte del Consiglio di sospendere la procedura di valutazione della professionalità in attesa che si definisca l’eventuale procedimento disciplinare.
La circolare prevede la sospensione obbligatoria della procedura valutativa in pendenza di procedimento disciplinare solo allorché il magistrato risulti sospeso dalle funzioni e dallo stipendio ai sensi degli artt . 21 e 22 del dlgs. n. 109/2006.
In tutti gli altri casi la decisione circa la sospensione della procedura di valutazione è demandata alla IV Commissione, la quale dovrà valutare se «l’accertamento del fatto oggetto del procedimento disciplinare incida sulla definizione della procedura di valutazione della professionalità». Insomma, in sede di valutazione, non si dovrà esaminare il merito del fatto contestato in sede disciplinare, ma si dovrà invece limitarsi a un giudizio prognostico, chiedendosi se, nell’ipotesi che il fatto venisse ritenuto sussistente in sede disciplinare, esso sarebbe tale da comportare un giudizio non positivo o negativo di professionalità.
Solo in caso di risposta positiva, il procedimento di valutazione deve essere sospeso in attesa della definizione del procedimento disciplinare. Se la risposta fosse invece negativa, i due procedimenti possono tranquillamente procedere in parallelo.
Sul piano sostanziale, l’autonomia tra i due procedimenti esclude qualsiasi rigido automatismo tra l’eventuale condanna disciplinare e l’esito della valutazione di professionalità. Il che vale, però, anche in senso opposto perché le sentenze di assoluzione o proscioglimento dalla contestazione di un illecito disciplinare, salvo che venga esclusa la sussistenza del fatto materiale, possono concorrere a un giudizio di professionalità negativo.
Invero il giudicato disciplinare, sia di condanna sia di assoluzione, preclude solo la possibilità di rivalutare la verità storica delle condotte oggetto di giudizio, la riferibilità di esse all’incolpato, la qualificazione o l’esclusione della qualificazione di esse come illeciti disciplinari ma preclude non di utilizzare le sue risultanze in sede di valutazioni di professionalità (come espressamente indicato nella circolare in relazione alle fonti di conoscenza).
Del resto, la valutazione di professionalità riguarda l’attività svolta nel quadriennio e quindi è corretto verificare se il fatto, sia pure accertato disciplinarmente, sia tale da incidere negativamente sull’intero periodo in valutazione o sia, seppure rilevante come illecito, eccezionale ed episodico.