Da tempo si discute della necessità di un Tribunale che abbia competenza esclusiva e unitaria in materia di tutela dei diritti dei minori e di questioni che riguardano le persone e le “relazioni familiari”, nella accezione sempre più ampia che tale concetto ha assunto fino ad arrivare a comprendere ogni “legame di intimità”, così come i mutamenti sociali richiedono e l’evoluzione della giurisprudenza suggerisce.
Non vi è dubbio che l’esigenza di “unificazione delle competenze”(oggi frammentate tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni) e la necessità di “uniformità di riti”e di “garanzie processuali omogenee” volte a evitare sovrapposizioni e contrasti decisionali e incertezze nella tutela dei diritti, siano divenute sempre più pressanti, nonostante l’entrata in vigore della legge 219/2012. La nuova normativa, sotto il profilo sostanziale, ha raggiunto lo scopo dichiarato di parificare la condizione dei figli nati fuori dal matrimonio a quella dei figli nati all’interno di esso, ma, dal punto di vista processuale, ha decisamente mancato l’obiettivo. La agognata “concentrazione delle tutele” non è stata realizzata ed anzi le incertezze interpretative, le prassi disomogenee sul territorio nazionale, i “passaggi delle carte processuali” dai giudici minorili ai giudici ordinari (e viceversa) e le attese dei tempi necessari a statuire sulle domande delle parti rischiano di compromettere la tutela dei diritti dei minori e dei loro familiari.
Il ragionevole trasferimento della competenza delle cause ex art. 317 bis c.c. ai Tribunali ordinari, voluto dalla norma, effettuato in assenza di uniformità di riti, di alcuna considerazione sull’aumento dei ruoli dei giudici ordinari e sulla necessità di rivisitazione delle disomogeneità dei carichi nei diversi Tribunali per i minorenni, è stata un’occasione perduta per migliorare la qualità della risposta giudiziaria e l’efficienza del sistema.
Permane, dunque, l’esigenza di una riforma che consenta di unificare le competenze oggi distribuite tra Tribunale per i minorenni, giudice ordinario e giudice tutelare così da evitare inutili duplicazioni di giudizi, rischi di contrasti interpretativi e tempi processuali inaccettabili; una riforma che sappia condurre a una maggiore razionalizzazione delle risorse, creare una forte specializzazione degli operatori in materia di diritto dei minori e della famiglia e migliorare l’efficacia della risposta di giustizia in detta materia.
Le linee del cambiamento non possono derogare ad alcuni “principi fondamentali” per la tutela dei diritti dei minori, dettati in ambito nazionale e internazionale, che hanno guidato l’esercizio della giurisdizione nella lunga esperienza dei Tribunali per i minorenni; essi devono informare le scelte organizzative/ordinamentali dell’istituendo Tribunale per la persona, i minorenni e le relazioni familiari.
Le “Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su una giustizia a misura di minore” adottate il 17 novembre 2010, che si fondano sui principi dettati dalle fonti internazionali e sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, suggeriscono agli Stati membri di «garantire l’effettiva attuazione del diritto dei minori affinché il loro interesse superiore sia posto davanti a ogni altra considerazione in tutte le questioni che li coinvolgono o li riguardano» e affermano che nel valutare l’interesse superiore dei minori coinvolti o interessati «dovrebbe essere adottato un approccio globale da parte di tutte le autorità competenti, in modo da tenere in debita considerazione tutti gli interessi in gioco tra cui il benessere psico-fisico nonché gli interessi legali, sociali ed economici del minore».
In campo minorile emerge in maniera evidente la necessità di una visione complessiva e unitaria delle problematiche (legali, personali, familiari, sociali) dei giovani: il disagio personale e/o sociale del minore può unirsi a condotte illecite e l’accertamento della responsabilità penale non è mai slegato dalle valutazioni di recupero del minore e dalla necessità di prevedere interventi rieducativi adeguati. Si impongono analisi e valutazioni che richiedono competenze specialistiche di diverse professionalità, capaci di leggere i fattori sociali ed educativi di influenza sul caso di specie, di formulare prognosi e avanzare proposte sul recupero del minore e sul suo migliore inserimento sociale. Sono necessari interventi e decisioni dell’autorità giudiziaria caratterizzati da organicità, che sappiano tenere insieme il quadro della devianza (reati/processo penale) e quello di recupero dei minori e di sostegno delle relazioni familiari (interventi a tutela del minore, di recupero della genitorialità e delle relazioni parentali).
È dunque indispensabile prevedere che il nuovo Tribunale per la persona, i minorenni e le relazioni familiari mantenga l’unità tra giurisdizione civile e penale al fine di garantire una conoscenza completa di tutti gli interessi in gioco (accertamento delle responsabilità penali/valutazione della qualità delle relazioni familiari/delle competenze genitoriali/delle condizioni socio-economiche del nucleo/del benessere del minore e delle sue capacità di miglioramento) e un intervento di recupero efficace e complessivo che coinvolga il minore, la famiglia, le istituzioni e i centri di interesse ove il giovane cresce e forma la propria personalità.
È facile comprendere come la riuscita o il fallimento dell’intervento giudiziario in materia minorile e familiare non solo incidano sulla vita delle persone coinvolte nei processi, ma abbiano conseguenze, nel lungo periodo, sulla crescita dei giovani, sul benessere delle famiglie e sul futuro della nostra società.
L’attenzione alle modalità di esercizio della giurisdizione nel delineare le caratteristiche del nuovo “Tribunale per le persone, i minorenni e le relazioni familiari” deve dunque essere massima e dovranno essere escluse riforme che possano pregiudicare l’approccio unitario dell’intervento giudiziario.
Appare inoltre indispensabile garantire l’esclusività delle funzioni, la composizione multidisciplinare e la specializzazione dell’organo giudicante: la necessità di una formazione specifica e di una forte specializzazione per i magistrati minorili e per quelli che si occupano di relazioni familiari (inquirenti e giudicanti) è evidente. Basti pensare alle esigenze di studio e approfondimento in materia di ascolto di minore, di comprensione dei “linguaggi” specialistici richieste a chi deve confrontarsi quotidianamente con gli operatori dei servizi sociali, psicologi ecc., al bisogno di stretta collaborazione/organizzazione tra giudici togati e onorari per l’indispensabile integrazione dei saperi giuridici e scientifici che occorre per l’analisi e valutazione della genitorialità e la programmazione degli interventi sui minori.
Tali esigenze sono riconosciute dalle linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che invitano gli Stati membri a porre in essere azioni positive affinché tutti i professionisti che operano con e per i minori ricevano «la necessaria formazione interdisciplinare sui diritti e sui bisogni dei minori di diverse fasce di età e sui procedimenti adatti a questi ultimi» e affinché i predetti siano formati «per comunicare con bambini di ogni età e fase di sviluppo così come con minori che versano in situazioni di particolare vulnerabilità».
L’esperienza dei Tribunali per i minorenni, da questo punto di vista, appare conforme agli auspici dell’istituzione europea: essa si caratterizza infatti per la composizione multidisciplinare dell’organo giudicante che esprime un giudizio che si costruisce con l’apporto della competenza tecnico-giuridica dei magistrati “togati” e il contributo della professionalità specifica della componente onoraria costituito da saperi “altri” rispetto a quello giuridico. Il Tribunale decide infatti in composizione collegiale (due giudici ordinari e due giudici onorari scelti tra specialisti di settore tra cui psicologi, sociologi, educatori) e le decisioni sono il frutto di riflessioni e approfondimenti che attingono a diverse competenze e professionalità nella ricerca di una soluzione che ponga al centro il superiore interesse del minore.
La formazione e la specializzazione vengono acquisite attraverso incontri di studio e l’aggiornamento ma, soprattutto, mediante l’esperienza giudiziaria e la prassi di lavoro giornaliera. Il continuo contatto tra i giudici ordinari e la componente privata consente una costante contaminazione di conoscenze che favorisce la crescita professionale dell’organo giudiziario e permette un approccio globale e multidisciplinare allo studio del caso e alla sua soluzione.
L’esclusività delle funzioni che caratterizza il Tribunale per i minorenni è funzionale a garantire tempi, spazi, modalità e forme adeguate di esercizio della giurisdizione che deve essere, appunto, “a misura di minore”: occorre approntare luoghi adeguati per l’ascolto, il confronto e la mediazione; sono indispensabili tempi congrui all’acquisizione di informazioni, allo svolgersi di colloqui con gli operatori dei servizi sociali, agli approfondimenti specialistici.
L’istituendo Tribunale che tratterà dei diritti della persona e della vita di relazione familiare ha le medesime esigenze di specificità dei tempi e modi di esercizio della giurisdizione e dovrebbe essere realizzato tenendo conto delle esigenze di esclusività delle funzioni e specializzazione maturate nella lunga esperienza dei Tribunali per i minorenni.
E invece la proposta contenuta nel disegno di legge delega al Governo recante “disposizioni per istituire presso tutte le sedi di Tribunale le sezioni specializzate per la famiglia e la persona” approvato nel Consiglio dei Ministri del 29 agosto 2014 non risponde alle esigenze sopra descritte, peraltro da tempo segnalate da buona parte dell’avvocatura e della magistratura specializzata.
Se pure è condivisibile l’obiettivo dichiarato della riforma di porre fine alla frammentazione delle competenze giudiziarie che “quando il giudice deve toccare inevitabilmente gli affetti è un limite vissuto drammaticamente” nonché la considerazione che “l’istituzione di un Tribunale multidisciplinare che accorpasse le competenze del giudice della separazione, del Tribunale dei minorenni, del giudice tutelare, del giudice dei figli nati all'interno e fuori del matrimonio, del giudice dei diritti della persona, del giudice della protezione internazionale, e che quindi adoperasse una visione di insieme dell'intervento giudiziario dentro lo stesso schema processuale, potrebbe intervenire in modo più diretto evitando decisioni difformi che alimentano la crisi” (cfr. relazione illustrativa della Commissione presieduta dal dott. Giuseppe Berruti, costituita con d.m. del Ministro della giustizia del 27 maggio 2014 con il mandato di predisporre “proposte di interventi in materia di processo civile”); tuttavia lo strumento utilizzato per “istituire presso tutte le sedi di Tribunale le sezioni specializzate per la famiglia e la persona” (cfr. punto 2 lett. a) dello “schema di disegno di legge delega al governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile” appare decisamente inadeguato.
È infatti evidente, e dimostrato dall’esperienza giudiziaria di ogni giorno, come le sezioni specializzate non siano in grado di garantire l’esclusività delle funzioni e dunque un’adeguata specializzazione. Non di rado, infatti, i magistrati “addetti” sono assegnatari anche di procedimenti di natura diversa da quella di competenza della sezione e, d’altra parte sarebbe ingiusto pretendere il contrario in Tribunali di piccole dimensioni ove l’esiguo numero di magistrati e i carichi di lavoro non lo consentono.
Ora: tenuto conto delle carenze di organico e dei carichi di lavoro dei Tribunali ordinari nonché dell’assenza di alcuna previsione utile a “rafforzare” le risorse umane e strumentali di detti uffici giudiziari, tale disposizione autorizzerà gran parte dei dirigenti a consentire che i giudici che trattano le cause che riguardano i diritti delle persone, dei minori e della famiglia si occupino anche di processi riguardanti materie del tutto disomogenee, con buona pace delle esigenze di adeguata specializzazione che nella relazione introduttiva all’intervento di riforma paiono auspicate quando si afferma di volere “rimettere al centro del sistema la professionalità più assoluta e più controllabile dei protagonisti” (cfr. relazione illustrativa della Commissione Berruti cit.).
Per non dire dell’assenza di autonomia e specializzazione dell’ufficio del pm: è noto che le competenze del pm minorile sono diverse e molto più ampie – in materia penale e, soprattutto, in campo civile – di quelle del pm presso i Tribunali ordinari. La previsione, oggi vigente, di meri gruppi di lavoro specializzati nelle procure ordinarie non esclude la possibilità di assegnazione di procedimenti estranei alla materia ai magistrati che costituiscono il pool specializzato e, dunque, non consente un’adeguata specializzazione.
L’istituzione di sezioni specializzate prevista dal disegno di legge delega sopra citato contrasta inoltre con l’esigenza di multisciplinarità dell’organo giudicante evidenziata nelle linee guida del Consiglio di Europa e suggerita, peraltro, dalla stessa relazione illustrativa della Commissione Berruti. Non si prevede infatti la partecipazione della componente onoraria nella composizione dei collegi né nella formazione delle decisioni: lo schema di disegno di legge delega si limita laconicamente a stabilire (alle lettere d) ed e) del punto 2) che occorre «individuare le materie riservate alla competenza collegiale» e «assicurare alla sezione l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materie di competenza».
Deve dedursi che i collegi giudicanti delle sezioni specializzate avranno una composizione esclusivamente “togata” e la fase decisoria sarà riservata esclusivamente alla magistratura professionale, con possibilità di avvalersi di “tecnici specializzati” oltre che dell’ausilio dei servizi sociali. Il ruolo incerto e marginale che il disegno di legge delega assegna ai giudici onorari (ragionevolmente individuabili in quelli già assegnati al Tribunale ordinario) comporta una grave perdita di competenza dell’organo giudicante che resta privato, nella fase decisionale – momento più importante dell’esercizio della giurisdizione – dell’apporto fornito dalle conoscenze pedagogiche, psicologiche e sociali della componente onoraria. È evidente che questo prezioso contributo non può essere sostituito dall’episodico ricorso a consulenti esterni, il cui importante lavoro è necessario solo in casi specifici che richiedono indagini particolari e resta comunque confinato a un apporto episodico incapace di rispondere alle esigenze di continua autoformazione dell’organo giudicante e di incidere sulla crescita professionale della componente togata.
In buona sostanza la proposta di riforma governativa contrasta con le linee guida del Consiglio di Europa che, nell’ambito della giurisdizione delle relazioni, ritengono irrinunciabili i principi di unitarietà della giurisdizione, specializzazione ed esclusività delle funzioni della magistratura inquirente e giudicante, composizione multidisciplinare del giudice. Essa non consente neppure di realizzare gli obiettivi di unificazione delle competenze e promozione della specializzazione degli operatori: da un lato infatti resterebbero affidate al Tribunale per i minorenni le competenze del giudice specializzato in materia penale, dall’altro non si prevede alcuna disposizione a tutela di un’effettiva formazione specifica e specializzazione.
Inoltre il progetto di cambiamento è del tutto carente da un punto di vista organizzativo e si disinteressa del profilo ordinamentale: si abbraccia l’ipotesi di una giurisdizione minorile che pare dover operare su due uffici giudiziari distinti (sezioni civili specializzate per il settore civile e Tribunale per i minorenni per il settore penale) con conseguente dispersione di conoscenze, energie e risorse e grandi difficoltà organizzative. Si propone inoltre una possibile eliminazione della componente privata oggi assegnata ai Tribunali per i minorenni, costituta da circa 700-800 magistrati (a fronte di circa 200 giudici minorili professionali): una significativa perdita di risorse alla quale non pare affiancarsi alcuna previsione di ampliamento della pianta organica della magistratura ordinaria.
Facile pensare dunque al conseguente ingestibile aumento del carico di lavoro delle sezioni dei Tribunali ordinari con gravi difficoltà nel rendere, fin dai primi passi, una risposta di giustizia tempestiva ed efficace.
Più credibili appaiono le elaborazioni e le proposte della magistratura specializzata che non vuole rinunciare all’istituzione di un “Tribunale specializzato per la persona, i minorenni e le relazioni familiari”, che abbia autonomia organizzativa, funzioni esclusive e composizione multiprofessionale. L’ipotesi proposta dall'Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia nel documento “Per una giustizia a misura di minore” suggerisce tra l’altro che l’istituendo organo giudicante abbia «i caratteri di un giudice di prossimità» al fine di potere svolgere con efficienza le sue funzioni civili, penali e amministrative. Secondo uno studio di fattibilità redatto nel corso del triennio 2005/2008 il nuovo ufficio dovrebbe avere un organico di magistrati di una certa consistenza cui potrebbe corrispondere un bacino di utenza indicativamente valutabile, a non meno di 400.000 abitanti, avendo comunque riguardo ai flussi sia in materia civile che penale che connotano i diversi territori.
L’ipotesi di riforma è adeguata e convincente e prevede tra l’altro specifici interventi sulla disciplina processuale al fine di garantire: 1) l’applicazione del medesimo rito a tutti i procedimenti di affidamento dei figli minori nati nel matrimonio e fuori da esso, separazione e divorzio e di modifica delle condizioni precedentemente stabilite dall’ A.G.; 2) modifiche legislative per i procedimenti de potestate volte a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, la possibilità per i difensori di interloquire su tutto il materiale istruttorio e all’udienza “conclusiva” del procedimento; 3) semplificazione e razionalizzazione dei riti relativi ai procedimenti di volontaria giurisdizione, già di competenza del T.m. o del g.t. o del Tribunale nonché ai procedimenti relativi a interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno ecc.; 4) individuazione di procedimenti a trattazione monocratica, fermo restando che quelli a trattazione collegiale potranno essere a composizione togata (tre magistrati togati) o multiprofessionale (due magistrati togati, più due magistrati onorari) nei casi in cui si verte in materia di diritti di soggetti minorenni.
Altra ipotesi di riforma percorribile – se si vuole che il Tribunale che si occupa dei minorenni e delle famiglie sia un giudice di prossimità con le necessarie caratteristiche di specializzazione, esclusività delle funzioni e unitarietà della giurisdizione – può fondarsi sulla previsione di un Tribunale che mantenga le sue articolazioni periferiche all’interno dei vari Tribunali del distretto ove l’ufficio svolgerà le competenze che oggi sono esercitate dal giudice ordinario (g.t. e g.o.), utilizzando le risorse ivi esistenti da coordinare e riorganizzare unitamente a quelle in sede distrettuale, mentre le competenze che costituiscono il cuore della materia minorile (tra cui competenze nel settore penale, adozioni, sottrazione internazionale di minori) dovranno necessariamente restare proprie della sede distrettuale o comunque di una sede che comprenda più circondari di piccole dimensioni.
La realizzazione di riforme efficaci e responsabili necessita di impegni di spesa, adempimenti organizzativi e modifiche legislative; nonostante i tempi di crisi economica e le esigue disponibilità di fondi destinati al settore giustizia, non è utile avvallare proposte di riforma “a costo zero” della cui riuscita è facile dubitare se solo si tiene conto delle realtà degli uffici giudiziari sulle quali esse vanno a incidere.
Alle note difficoltà finanziarie occorre rispondere che tra i doveri di una democrazia evoluta vi è senz’altro quello di offrire a ciascun “figlio” uguali opportunità di crescere, studiare, migliorarsi. Occorre “investire nei bambini: rompere il circolo vizioso di svantaggio”, come ha suggerito la Commissione Europea, sollecitando gli Stati membri a mettere al centro dell'agenda il tema dell'infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini, affinché a tutti sia data la possibilità di crescere uguali.
È indispensabile un cambiamento che parta dalla considerazione che l’utilizzo di risorse (economiche e umane) per la tutela dei minori e delle famiglie non è un costo ma un investimento che “paga” sia in termini di tutela di diritti che in un'ottica di risparmio per il futuro.