Questo breve studio contiene un excursus storico sulle ferie giudiziarie e una sintetica valutazione tecnica degli effetti della riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali e delle ferie dei magistrati, introdotte dall’art. 16 del d.l. n. 132/2014. La norma, come noto, a partire dall’anno 2015 riduce la sospensione dei termini dal 6 al 31 agosto di ogni anno e le ferie dei magistrati da quarantacinque a trenta giorni annuali. Chi è interessato solo alle prospettive concrete di riorganizzazione delle ferie e alle proposte attuative della riforma può passare direttamente agli ultimi quattro paragrafi.
Il termine latino feriae (o fesiae) si riferisce propriamente ai periodi nei quali nella repubblica e nell’impero romano era vietata l’amministrazione della giustizia. I giorni feriali erano nefasti, il che importava la sospensione dell’esercizio del potere giudiziario e il riposo dalle attività lavorative finanche per i servi, trattandosi di un istituto sacro legato al concetto di fas. Solo con la nascita di una stabile organizzazione amministrativa i periodi di ferie vennero riferiti anche all’attività degli uffici pubblici diversi da quelli giudiziari.
Oggi con l’espressione “ferie giudiziarie” ci si riferisce, di solito indistintamente, sia al periodo di ferie propriamente dette e godute dai magistrati quali dipendenti pubblici che alla sospensione dei termini processuali, grazie alla quale dall’anno 1965 anche gli avvocati hanno un periodo di ferie effettive durante l’estate. Le ferie dei magistrati e la sospensione dei termini processuali sono strettamente collegate, sebbene distinte tra loro, e attuano il diritto irrinunciabile alle ferie riconosciuto dall’art. 36 Cost. a tutti i lavoratori. Inoltre vi è anche la necessità pratica di ridurre l’attività giudiziaria e forense nel periodo estivo, poiché è in ferie gran parte del personale di cancelleria, della polizia giudiziaria, dei lavoratori pubblici e privati, con la conseguenza che molte attività non potrebbero essere svolte e che sarebbe estremamente difficile reperire parti, testimoni, consulenti.
Le ferie dei magistrati
Le “ferie” dei magistrati e la sospensione dell’attività degli uffici (ma non dei termini processuali) sono state disciplinate fin dal primo ordinamento giudiziario nazionale, ossia dalla l. n. 3781/1859, che estendeva l’ordinamento giudiziario del Regno di Sardegna agli Stati preunitari settentrionali. Gli artt. 99 e ss. prevedevano che le “ferie delle corti e dei tribunali” – ossia la sospensione parziale del loro funzionamento – avesse la durata di novanta giorni, mentre ciascun magistrato non poteva avere più di quarantacinque giorni di ferie. I rispettivi periodi di sospensione delle attività e di ferie dei magistrati erano stabiliti con decreto reale, che indicava anche quali affari dovessero essere comunque trattati. L’ordinamento giudiziario escludeva, comunque, la sospensione della trattazione degli affari per i processi penali di competenza della corte d’assise e del tribunale (“affari criminali e correzionali”).
Con il successivo ordinamento giudiziario, emanato per tutto il regno d’Italia con r.d. n. 2626/1865, si confermava la durata della sospensione dell’attività degli uffici in novanta giorni e quella delle ferie dei magistrati in quarantacinque giorni. Gli artt. 94-102 del regolamento giudiziario generale, approvato con r.d. n. 2641/1865, prevedevano che la durata delle “ferie annuali” dei tribunali e delle corti andasse dal 7 agosto al 4 novembre di ciascun anno (con eccezioni per la Sardegna e la Sicilia). In questo intervallo i magistrati “dei tribunali e delle corti” potevano godere dei quarantacinque giorni di ferie “nel modo che sarà richiesto dalle esigenze del servizio”. Per i pretori erano previsti, invece, solo trenta giorni di ferie e sempre nei limiti delle “esigenze del servizio”. Era altresì previsto espressamente il recupero del congedo non goduto, per quanti non potevano fruire delle ferie nel periodo di sospensione dell’attività degli uffici giudiziari.
Con l’entrata in vigore dell’ordinamento giudiziario attuale l’art. 90 r.d. n. 12/1941 prevedeva, nella sua versione originale, che i magistrati delle corti e dei tribunali avessero un periodo annuale di ferie di sessanta giorni, mentre per i pretori era stabilito un “congedo ordinario” annuale di trenta giorni. In modo significativo l’ordinamento giudiziario disponeva espressamente che “nei primi quindici giorni” i magistrati definissero gli affari e gli atti in corso con riduzione del periodo “effettivo” di ferie a quarantacinque giorni.
L’obbligo (e la necessità) dei magistrati di lavorare durante le ferie
In questo modo, recependo una prassi secolare, si sanciva per legge la concezione “elastica” delle ferie dei magistrati, in base alla quale per essi il periodo di ferie è più lungo di quello della generalità dei dipendenti pubblici perché una parte è di fatto lavorativa, anche se solo per la stesura dei provvedimenti. L’effetto pratico della disposizione era che, per legge e non più per prassi, anche nei primi quindici giorni di ferie (di norma dal 16 al 31 luglio) il magistrato era esonerato da udienze e turni, ma doveva comunque provvedere al deposito dei provvedimenti in scadenza.
In seguito, con una prima modifica del detto art. 90, disposta dall’art. 2 l. n. 704/1961, veniva unificata la durata delle ferie tra “magistrati delle corti e dei tribunali” e “pretori”, prevedendo che per tutti i “magistrati che esercitano funzioni giudiziarie” la durata delle ferie fosse di sessanta giorni. Il riferimento ai magistrati che esercitavano funzioni giudiziarie escludeva solo i magistrati fuori ruolo o senza funzioni (come gli uditori giudiziari) dalle ferie di sessanta giorni, poiché a essi veniva applicato il periodo feriale di “un mese” previsto per i dipendenti pubblici dall’art. 36 d.p.r. n. 3/1957. Anche la l. n. 704/1961, peraltro, continuava espressamente a prevedere che nei primi quindici giorni i magistrati definissero gli affari e gli atti in corso, ciò anche al di là dei turni di quanti rimanevano in servizio per la definizione degli affari non sospesi.
La riduzione della durata delle ferie
Successivamente l’art. 8 l. n. 97/1979 riduceva il periodo feriale di tutti i magistrati con funzioni giudiziarie a quarantacinque giorni, sopprimendo ogni riferimento al dovere di provvedere, nei primi quarantacinque giorni di periodo feriale, alla definizione degli affari e degli atti in corso.
Ai quarantacinque giorni di ferie predetti la l. n. 937/1977 aggiungeva due giorni di “congedo ordinario” e quattro di c.d. “recupero festività soppresse”, portando a complessivi cinquantuno giorni le ferie dei magistrati. Ciò spiega perché, dovendosi fruire delle ferie di norma durante la sospensione dei termini processuali, di regola il ministro fissi un periodo feriale che va dal 22 o 23 luglio fino al 15 settembre, che è pari ai detti cinquantuno giorni aumentati delle domeniche e del giorno di ferragosto, poiché le domeniche e gli altri giorni festivi agli effetti civili (ad esempio il c.d. “ferragosto”) sono sempre stati esclusi dal computo delle ferie. Il legislatore, pertanto, introduceva un concetto “rigido” di ferie, nel senso che esse, a seguito della riduzione, avrebbero dovuto essere effettive con esclusione del dovere di prestare ogni tipo di attività.
Ciò nonostante la giurisprudenza disciplinare, fino a date recenti, riteneva del tutto fisiologico che il magistrato usufruisse delle ferie per la redazione dei provvedimenti (cfr. ex plurimis sent. n. 61/2006). Questa giurisprudenza, seguita da una prassi amministrativa consiliare che frequentemente consentiva il computo dei giorni di ferie nei termini di deposito dei provvedimenti, ha protratto la concezione “elastica” delle ferie dei magistrati e ha avvalorato l’interpretazione dell’organo di autogoverno secondo la quale, in pratica, i magistrati durante le ferie sono esonerati solo dalle attività che comportano presenza in ufficio, sebbene la l. n. 97/1979 avesse espressamente soppresso ogni riferimento al dovere del magistrato di definire affari e atti durante il periodo di ferie.
Non va dimenticato, peraltro, che quest’ultima norma era inserita in una legge che ristrutturava la carriera economica prevedendo significativi benefici per i magistrati, tra i quali il meccanismo di adeguamento economico triennale, allo scopo dichiarato di riconoscere il loro impegno nell’amministrazione della giustizia e nella lotta al terrorismo e alla criminalità. Su questo punto il consenso politico era così diffuso da determinare direttamente l’approvazione della legge in commissione, in sede legislativa, anziché in assemblea.
Le ferie degli uffici giudiziari
Sin dall’ordinamento giudiziario approvato con r.d. n. 2626/1865 era prevista la sospensione dell’attività degli uffici giudiziari in un periodo molto ampio e pari a novanta giorni. Per gli avvocati, quindi, non era possibile “chiudere” gli studi legali, poiché era necessario organizzarsi comunque per fare fronte alla scadenza dei termini. Il riposo feriale del professionista era assicurato dalla riduzione del lavoro ordinario, consistente nella trattazione di un numero limitato di materie. Il periodo di “ferie degli uffici” aveva una durata doppia di quella delle “ferie dei magistrati” (novanta giorni contro quarantacinque) ed era il regolamento giudiziario generale a prevedere che durante le “ferie degli uffici” venissero garantite le necessità del servizio, con gli opportuni turni.
Successivamente, per razionalizzare il sistema, il r.d. n. 12/1941 aveva commisurato direttamente il periodo di ferie degli uffici giudiziari a quello delle ferie dei magistrati, unificando in sessanta giorni i due termini, per le corti e per i tribunali, e in trenta per le preture. Gli artt. 91 e 92 r.d. n. 12/1941, nella versione originaria, disciplinavano gli affari penali e civili da trattare negli uffici giudiziari durante il periodo di ferie dei magistrati, limitando l’attività a una serie di procedimenti specificamente indicati per tipologia di materie, come ad esempio i procedimenti cautelari o esecutivi, oltre alle “urgenze” da individuarsi di volta in volta con apposito provvedimento. Anche in questo caso non vi era una disciplina generale di sospensione dei termini processuali per le parti private, che consentisse agli avvocati di avere un periodo certo di pausa estiva, fatte salve le urgenze.
La sospensione dei termini feriali (le c.d. ferie degli avvocati)
Solo con la l. n. 818/1965, quindi, veniva prevista la sospensione dei termini processuali per garantire anche agli avvocati un periodo di “riposo”, peraltro, relativo attesa la presenza di un elevato numero di materie per le quali non operava la sospensione (famiglia, detenuti, cautelare ecc.). È interessante notare che, per iniziativa di diversi deputati che erano anche avvocati, il titolo della legge venne sostituito da “ferie degli avvocati” con “sospensione dei termini processuali” perché, si legge nei lavori preparatori, “gli avvocati non vanno mai in ferie” nel loro rapporto fiduciario e professionale con i clienti.
Sin da allora, evidentemente, si voleva evitare di colpire negativamente l’opinione pubblica con un’intitolazione della legge che apparisse come un privilegio per un ordine professionale, quello forense, “troppo orgoglioso per avere dei protettori e troppo modesto per avere dei protetti”. Nei lavori parlamentari, peraltro, si conveniva sul fatto che la sospensione dei termini non avrebbe inciso negativamente sulla durata dei processi, dovuta alla carenza di risorse umane e materiali (diremmo oggi) delle quali si auspicava l’incremento. Il tutto tra citazioni del De legibus di Cicerone e indirizzi di saluto all’ordine forense “antico come la magistratura, degno come la virtù ed indispensabile quanto la giustizia”.
I problemi suscitati dalla disposizione, però, determinavano il legislatore a un nuovo intervento che incideva sulle materie da trattare nel periodo feriale (venivano inserite le controversie di lavoro) e disciplinava in modo più chiaro la materia con la l. n. 742/1969. La legge è il testo tuttora vigente in materia di sospensione dei termini feriali ed è stata modificata e ampliata nella sua efficacia da diverse sentenze della Corte costituzionale e da ulteriori interventi del legislatore.
La proroga dei termini per il sabato (lavorativo)
Un ulteriore istituto che incide sull’attività giudiziaria e forense è la proroga dei termini processuali in scadenza per la domenica e gli altri giorni festivi. L’art. 155 cod. proc. civ., modificato dall’art. 2 l. n. 263/2005, ha inoltre previsto che i termini delle attività processuali scadenti nella giornata di sabato siano prorogati al giorno successivo non festivo. La legge, tuttavia, ha anche espressamente disposto che resti fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, “che ad ogni effetto è considerata lavorativa” per i magistrati.
La disciplina attuale dei periodi di riposo dei magistrati
Prima della riduzione prevista dal d.l. n. 132/2014 a partire dall’anno 2015, i magistrati godevano di quarantacinque giorni di ferie più sei di “festività soppresse”, per un totale di cinquantuno giorni annui, dovendo essere considerato lavorativo a tutti gli effetti il giorno di sabato. Quest’ultimo dato è estremamente importante, perché in un anno ci sono in media cinquantadue sabati con la conseguenza che qualsiasi dipendente pubblico o privato, articolata la settimana su cinque giorni di lavoro, ha un numero di giornate non lavorative di sabato superiore all’intero periodo di ferie dei magistrati. Nella prospettiva di qualsiasi impiego pubblico, perciò, ai trentadue o trentaquattro giorni di ferie e festività soppresse previsti contrattualmente (di regola) vanno aggiunte le cinquantadue giornate di sabato non lavorativo, per un totale di ottantaquattro o ottantasei giorni effettivi non lavorativi annui, oltre alle domeniche.
La situazione dei dipendenti pubblici, ma anche di quelli privati il cui orario è quasi sempre articolato su cinque giorni di lavoro settimanali, è quindi di gran lunga più favorevole in relazione ai giorni di riposo effettivi, al di là della domenica e delle festività. Inoltre, mentre di regola le norme e i contratti garantiscono ai lavoratori pubblici e privati il recupero del lavoro prestato di notte, di domenica o in giorno festivo, per i magistrati vi sono solo delle generiche indicazioni del CSM che invitano i capi degli uffici a garantire il recupero di detti periodi di lavoro.
Il riferimento all’effettività delle giornate di riposo va sottolineato perché, come già indicato sopra, per i magistrati non solo i termini processuali dei provvedimenti giudiziari scadenti nei giorni di ferie non si ritengono sospesi sotto il profilo deontologico ma vengono inseriti anche le domeniche e i giorni festivi nel computo dei termini processuali destinati alla redazione di provvedimenti. In sostanza, perciò, l’apparente vantaggio di un formale numero di giorni di ferie superiore alle altre categorie di pubblici dipendenti è sostanzialmente azzerato dall’obbligo di provvedere sulle scadenze processuali anche durante le ferie, dall’inclusione del sabato nei giorni lavorativi “a ogni effetto” e dal computo finanche delle domeniche e dei giorni festivi nei termini di deposito dei provvedimenti. L’unico vantaggio di un apparente maggior numero di giorni di ferie per i magistrati è dato dalla maggiore flessibilità con la quale possono essere gestite le scadenze, più che altro attraverso un’amministrazione oculata del proprio ruolo nei limiti in cui i carichi di lavoro e il servizio lo consentono.
In questo quadro è evidente che la riduzione delle ferie giudiziarie è stata crescente ed è giunta a un punto di equilibrio e razionalità solo dall’anno 1979, con l’equiparazione della durata del periodo di ferie dei magistrati alla sospensione dei termini processuali. All’epoca, però, il taglio del 25% della durata delle ferie dei magistrati venne accompagnato dalla formale soppressione dell’obbligo di provvedere al deposito dei provvedimenti durante le ferie e da una risistemazione complessiva in melius dello stato giuridico economico.
La nuova riduzione delle ferie dei magistrati e del periodo di sospensione dei termini
L’art. 16 del predetto d.l. n. 132/2014 convertito in l. 162/2014 prevede, a decorrere dal 1° gennaio 2015:la riduzione da quarantacinque a trenta giorni delle ferie annuali dei magistrati;
la riduzione da quarantacinque a trenta giorni della sospensione dei termini processuali (dal 1° al 31 agosto);
l’adozione di misure organizzative da parte del CSM “conseguenti” alla suddetta riduzione delle ferie e del periodo di sospensione feriale dei termini.
Al di là delle polemiche per le modalità con le quali è stato emesso il decreto legge e delle proteste degli interessati, inclusi gli avvocati, possono essere evidenziate alcune criticità della disposizione e individuati alcuni profili di intervento.
Problemi esegetici della disposizione
Vanno valutati, innanzitutto, i profili di legittimità costituzionale di un decreto legge, che presuppone la necessità e urgenza di provvedere ma che, al contrario, inserisca una norma la cui prima applicazione potrà verificarsi solo dopo quasi un anno dalla sua entrata in vigore. Peraltro un’eventuale illegittimità per vizi di forma del decreto legge difficilmente può essere sanata con la legge di conversione.
Apparentemente, poi, c’è un evidente difetto di coordinamento tra il nuovo art. 8 bis l. n. 97/1979 (inserito dal detto art. 16 c. 2 d.l. n. 132/2014 che riduce da quarantacinque a trenta i giorni di ferie dei magistrati) e l’art. 8 l. n. 97/1979, tuttora vigente, che continua a prevedere l’attuale testo dell’art. 90 r.d. n. 12/1941 secondo il quale vi sono ancora quarantacinque giorni di ferie per i magistrati destinati a “funzioni giudiziarie”. Si potrebbe ipotizzare l’abrogazione di detto art. 8 l. n. 97/1979 per incompatibilità con il neo-inserito art. 8 bis. Ciò, forse, sarebbe conforme alla “volontà soggettiva” dichiarata dell’esecutivo legiferante ma non alla ratio legis propriamente detta. È stato già autorevolmente sostenuto, infatti, che la mancata abrogazione dell’art. 8 l. n. 97/1979 (e dell’art. 90 r.d. n. 12/1941) consentirebbe di limitare l’efficacia dell’art. 8 bis l. n. 97/1979, ossia la riduzione delle ferie a trenta giorni, solo ai magistrati destinati a funzioni amministrative, mentre per quelli destinati a funzioni giudiziarie continuerebbe ad avere efficacia il termine di quarantacinque giorni previsto dal detto art. 8 l. n. 97/1979.
I compiti organizzativi del CSM e i poteri del Ministro della giustizia
Al di là delle questioni strettamente interpretative, volendo ipotizzare una diretta applicabilità della norma, si pongono altre questioni “operative”.
Il CSM non ha potuto deliberare immediatamente in merito alle modifiche organizzative. Lo stesso art. 16 c. 4 del d.l. n. 132/2014 prevede, infatti, che i provvedimenti del CSM siano emessi subordinatamente all’applicabilità delle disposizioni dei commi 1 e 2, che il comma 3 differisce all’anno 2015.
Il decreto legge attribuisce al CSM un potere di normazione secondaria, che sembra autonomo e sostanzialmente di natura regolamentare, ma rischia di essere confliggente con il potere del Ministro della giustizia di fissare con decreto il periodo feriale dei magistrati secondo l’art. 90 c. 2 r.d. n. 12/1941, tuttora vigente. Tra l’altro il detto art. 16 c. 4 d.l. n. 132/2014 sembrerebbe prevedere uno dei casi di diretta efficacia delle delibere del CSM senza che sia necessario un ulteriore decreto del Ministro della giustizia o del presidente della Repubblica per il perfezionamento dell’atto, come previsto per altre categorie di delibere del CSM dall’art. 17 l. n. 195/1958. È possibile, quindi, che la delibera del CSM e il decreto del Ministro della giustizia per la fissazione del periodo di ferie dei magistrati possano risultare non coincidenti o in contrasto tra loro in assenza del necessario coordinamento, che tuttavia il decreto legge non prevede né disciplina.
La necessità di riorganizzare il modello di lavoro del magistrato
La riduzione delle ferie, inevitabilmente, spinge alla burocratizzazione del lavoro del magistrato, con il rischio di una transizione dal modello lavorativo professionale, che valorizza “come” si lavora, a quello impiegatizio, che valorizza “quanto” si lavora. Per evitare che il nuovo sistema “rigido” di ferie incida sulla qualità del lavoro, che per i magistrati coincide con la giustizia nelle decisioni, dovrebbero essere chiaramente disciplinati i doveri professionali in rapporto alle esigenze di servizio, nell’ambito degli insopprimibili diritti costituzionali al riposo settimanale e alle ferie. Esistono, peraltro, disposizioni regolamentari che consentono di individuare alcuni punti di riferimento in tal senso.
Ad esempio, gli artt. da 103 a 106 del r.d. n. 2641/1865 prevedono che nei tribunali i magistrati tengano almeno tre udienze settimanali della durata di almeno cinque ore. L’art. 14 reg. es. cod. proc. pen. consente di compiere atti durante i giorni festivi solo nel corso delle indagini preliminari e non nei giudizi. Queste disposizioni, e altre analoghe, vanno coordinate con la ridotta disponibilità di strutture e personale amministrativo.
Prescindendo dalle opinioni soggettive sulla quantità di giorni di ferie, bisogna prendere atto della realtà normativa che attualmente delimita il numero di giorni in modo conforme agli altri dipendenti pubblici, nonostante i doveri del magistrato siano difformi e più ampi per la nota necessità di provvedere anche al di là di un orario di ufficio, non (ancora) previsto.
Nella riorganizzazione che il CSM dovrà effettuare, quindi, potrebbero essere affrontate numerose questioni come:
la computabilità a fini professionali e disciplinari delle domeniche e delle festività nei termini di deposito dei provvedimenti o del compimento di attività processuali per i quali non vi siano termini perentori di scadenza;
la computabilità a fini professionali e disciplinari delle ferie, nonché dei giorni di congedo e di aspettativa per qualsiasi causa, nei termini di deposito dei provvedimenti o del compimento di attività processuali per i quali non vi siano termini perentori di scadenza;
la revocabilità delle giornate di ferie già richieste per il rientro in ufficio dovuto al deposito di provvedimenti o al compimento di altre attività processuali;
la frazionabilità in più periodi delle ferie, con l’obbligo di goderne in maggioranza nel periodo di sospensione dei termini processuali.
Prospettive di organizzazione in materia di carichi di lavoro
Qualora i nodi interpretativi che precedono venissero superati e venissero stabilite concrete modalità di fruizione dei periodi di riposo per ferie, domeniche e festività, restano da stabilire se ci sono ulteriori attività che il CSM dovrebbe disciplinare. È evidente, infatti, che una riduzione di un terzo del periodo di ferie annuali, non seguita da alcuna forma di “riequilibrio” sotto il profilo professionale o economico, necessita di un intervento ampio del CSM che colga l’occasione anche per toccare punti decisivi nella gestione del lavoro giudiziario. Una seria individuazione delle modalità con le quali dislocare il surplus di lavoro derivante dalla riduzione delle ferie di un terzo, infatti, non può prescindere dalla determinazione dei limiti di lavoro massimo espletabile dal magistrato annualmente.
Andrebbero individuati, quindi, i carichi di lavoro massimo sostenibile per ciascun magistrato, stabilendo in modo comprensibile, preciso e semplice, il numero massimo di attività, udienze e atti che individualmente può essere richiesto. Non si tratta, chiaramente, di un limite al cui raggiungimento conseguirebbe un esonero dai doveri professionali, ma solo di un elemento da considerare allo scopo di fornire una sorta di presunzione relativa di laboriosità e diligenza, utile sia a fini disciplinari che per le valutazioni di professionalità. Il tutto potrebbe essere fatto in modo facile, come lo è stato per i magistrati amministrativi, con l’indicazione generale del numero massimo di udienze, attività, turni e provvedimenti che, umanamente, è possibile chiedere a ciascun magistrato secondo la funzione svolta. In pratica non si tratta di determinare, come nel caso degli standards di rendimento, quanto devono lavorare gli operai per fare raggiungere all’azienda il massimo fatturato possibile, ma quanto possono lavorare al massimo gli operai senza avere problemi di rendimento o di salute.
La determinazione di carichi di lavoro massimi, peraltro, metterebbe il legislatore e il governo davanti alle proprie responsabilità normative e organizzative, perché sarebbe subito evidente che la “resa massima” annuale della magistratura nella definizione delle sopravvenienze e delle pendenze – da sola – non basta per fare fronte al mare magnum delle sopravvenienze e dell’arretrato giudiziario, dovuto in massima parte a disfunzioni organizzative e normative non ascrivibili ai magistrati.
L’individuazione di limiti certi per lo svolgimento del lavoro giudiziario
La delimitazione, in modo rapido e semplice, del quantum del lavoro giudiziario annuale dovrebbe necessariamente passare per l’individuazione dei giorni lavorativi effettivi, poiché la drastica riduzione delle ferie impone di riconsiderare la concezione “flessibile” delle ferie e dei giorni di riposo o assenza legittima che finora è prevalsa nella giurisprudenza e nella prassi del CSM. Ogni individuazione dei carichi di lavoro, quindi, andrebbe fatta basandosi su un complesso “disponibile” di circa duecentosessantacinque giorni lavorativi all’anno, che include i sabati tra le giornate lavorative ed esclude le domeniche, le festività civili e i trentasei giorni di ferie e “festività soppresse”. Il tutto considerando un massimo che non superi la media di quarantotto ore di lavoro settimanali, pari al limite previsto per la generalità dei lavoratori dall’art. 6 lett. a) della direttiva 2003/88/CE, che costituisce un confine invalicabile per il legislatore nazionale (cfr. d.lgs. n. 66/2003, conforme alla suddetta direttiva). Tradotto in giornate, peraltro, è facile vedere come si tratti di un margine di tutto rispetto, pari a otto ore di lavoro per sei giorni alla settimana. Nel computo andrebbe considerato sia il tempo di necessaria presenza in ufficio per udienze, turni e studio degli atti che il tempo per la redazione dei provvedimenti.
È chiaro che non si tratterebbe di limiti invalicabili per l’attività giudiziaria ma solo di parametri per determinare carichi di lavoro massimi, che garantiscano anche la serena ed efficiente amministrazione della giustizia. È evidente a chiunque che la prosecuzione per undici o dodici ore di attività come le udienze o gli atti di indagine o la redazione dei provvedimenti abbatte drasticamente i livelli di attenzione e la resa complessiva di qualunque magistrato, oltre ad essere un ritmo di lavoro praticamente insostenibile in via ordinaria.
I rendimenti decrescenti con l’aumento del lavoro
Secondo la c.d. legge dei rendimenti decrescenti oltre un certo limite di lavoro la produttività si abbatte in modo esponenziale. Il dato è dimostrato proprio in relazione alle ferie dei magistrati poiché dall’anno 1979 i giorni di ferie dei magistrati sono stati ridotti di un quarto ma le sopravvenienze e le pendenze sono ugualmente cresciute in modo cospicuo negli anni successivi. Inoltre, per rendersi conto dell’effettivo funzionamento degli uffici giudiziari anche nel periodo feriale, basta considerare che il deposito dei provvedimenti continua in modo pressoché uguale a quello dei periodi non feriali, a dimostrazione che è errato pensare di ridurre i tempi di durata dei processi riducendo le ferie. Il problema dell’abbattimento della durata dei processi e dell’aumento della produttività, come è noto, sta soprattutto nella carenza di risorse, nelle norme che consentono di allargare il contenzioso a dismisura e nel numero elevato di avvocati.
Finché non ci sarà la volontà politica di risolvere questi tre problemi la giustizia sarà lenta e l’arretrato ingestibile.