Mario Amato
(Palermo, 24 novembre 1937 - Roma, 23
giugno 1980)
Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, assassinato dai
Nuclei Armati Rivoluzionari
(Tratto dal volume "Nel loro segno" edito dal Csm)
Quello di Mario Amato è l'ultimo
omicidio di un magistrato compiuto dal terrorismo politico
italiano. Sono trascorsi 97 giorni dall'assassinio del giudice
Giacumbi, 98 da quello del giudice Minervini, 100 da quello del
giudice Galli.
È il 23 giugno 1980 quando, di buon
mattino, Amato esce di casa per dirigersi a Piazzale Clodio. Mentre
cammina sul marciapiede, due terroristi dei NAR (Nuclei Armati
Rivoluzionari), espressione dello spontaneismo armato di estrema
destra, ne decretano la morte sparandogli alle spalle un colpo di
rivoltella. Dichiarerà agli inquirenti un testimone oculare :
«Intorno alle 7.55 ho visto il dottor Amato che scendeva per via
Monte Rocchetta e svoltava per viale Ionio. Ho avuto la sensazione
che un uomo vestito di beige Io stesse seguendo». Quell'uomo, alto
circa un metro e 75, viso scoperto, capelli bruni e abiti da
travet, appare sulla scena con fredda determinazione alle spalle
dal giudice. Estrae una calibro 38 e gli esplode un solo colpo alla
nuca.
Fu Sergio, il figlio piccolo del
giudice, ad avvertire la sorella Cristina che era successo qualcosa
al loro papà: allora lui aveva sei anni e ricorda di aver sentito
la mamma piangere e urlare. Ma la verità la verranno a sapere solo
più tardi; sul momento Cristina pensò si trattasse solo di un
incidente: "L'ho pensato tutto il giorno, finché mio fratello è
arrivato e mi ha detto: «Papà l'hanno ucciso con la pistola»".
Amato è titolare di tutte le
inchieste sull'eversione nera a Roma e nel Lazio e la sua morte
serve a bloccarle. Questa la spiegazione del delitto che viene data
nella immediatezza Al Palazzo 1i Giustizia la notizia della morte
di Mario Amato dà vita a una protesta senza precedenti e,
finalmente, alla istituzione di un pool per le indagini
sull'antiterrorismo di destra che, negli anni successivi, riuscirà
a ricomporre "l'arcipelago dei guerrieri fascisti romani".
Nel 1990 sarà Valerio Fioravanti,
al microfono di Sergio Zavoli nel programma La notte della
Repubblica, a raccontare il delitto Amato: "Non fu un'azione
particolarmente difficile. Avevamo preso le nostre misure perché
lui di solito andava in ufficio in automobile, quel giorno andò
addirittura alla fermata dell'autobus, per cui fu più semplice di
quello che s'immaginasse".
A 24 ore dall'assassinio giunge la telefonata di rivendicazione:
"Siamo i NAR, abbiamo ucciso noi il giudice Amato. Troverete un
volantino nella cabina telefonica di via Carlo Felice". Si tratta
del celebre documento Chiarimenti, summa dello spontaneismo armato
nero. Recita: "Abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro
il sostituto procuratore dottor Amato, per la cui mano passavano
tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua
squallida esistenza imbottito di piombo. Altri la pagheranno".
Qualche settimana dopo un altro evento sconvolgerà l'Italia, è il 2
agosto 1980, scenario del dramma, la stazione ferroviaria di
Bologna.
Mario Amato nasce a Palermo il 24
novembre del 1937. Dal 1971 al 1977, ricopre il ruolo di Sostituto
Procuratore in Rovereto. Commenterà al riguardo Giovanni Minoli:
"Beffa della sorte, la stessa cittadina in cui nasce Valerio
Fioravanti", quel "fondatore e capo dei NAR" che definirà Amato "il
giudice più odiato dalla destra eversiva". Mario Amato ama la
montagna e lo sci. Nel lavoro si occupa di morti bianche, rapine e
microcriminalità. Nel giugno del 1977 viene trasferito alla Procura
di Roma. In meno di tre anni il suo ruolo cambia profondamente. Il
Procuratore capo, Giovanni de Matteo, gli affida l'incarico di
riprendere le indagini avviate dal magistrato Vittorio Occorsio,
ucciso nel 1976 proprio mentre stava indagando sui gruppi di destra
eversiva.
Amato fu tra i pochi, dopo il
giudice Occorsio, a tentare una lettura globale del terrorismo
nero. "Attraverso i parziali successi delle indagini su singoli
episodi terroristici" disse davanti al Consiglio Superiore della
Magistratura il 13 giugno 1980 -solo dieci giorni prima di essere
ucciso-: "sto arrivando alla visione di una verità d'assieme,
coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli
esecutori materiali degli atti criminosi". Amato ricostruì le
connessioni tra destra eversiva e banda della Magliana e intuì i
legami tra sottobosco finanziario, economico e potere pubblico.
Aveva scoperto, tra l'altro, che i NAR cercavano un'alleanza
"tattica" con gli estremisti di sinistra per sferrare l'attacco
congiunto allo Stato. Durante quell'audizione al Consiglio
Superiore dichiarò: «Vi sono un sacco di ragazzi o di ragazzini che
sono come i miei e i vostri figli, o come i figli di persone
assolutamente perbene, che vengono armati o comunque istigati ad
armarsi e che poi troviamo che ammazzano. Li troviamo con armi, con
silenziatori, o colti nel momento in cui stanno ammazzando. Si
tratta di un fenomeno grave che non può essere trascurato e che non
si risolve prendendo i ragazzini e mettendoli in galera. O meglio,
mettiamoli pure in galera, ma teniamo presente il gravissimo danno
sociale di questi giovani che vengono travolti da vicende di questo
tipo. Si tratta di un danno che noi pagheremo. Ciò che dico
ovviamente vale sia per la sinistra che per la destra. Per la
sinistra in numero spropositato, per la destra in numero ridotto
perché le proporzioni politiche sono diverse. Ho fatto una
relazione in cui indicavo la gravità del fenomeno, l'opportunità di
seguirlo e di estendere le indagini, perché non ci interessa
solamente arrestare la persona che ha commesso un reato: se tale
persona fa parte di un'organizzazione, mi interessa catturarla ma
poi risalire anche agli altri».
Nell'assemblea plenaria del
Consiglio Superiore della Magistratura tenutasi dopo l'omicidio,
prese la parola il Presidente della Repubblica Sandro Pertini:
"Dopo la fine prematura del giudice Amato, vilmente assassinato,
sarebbe fuori luogo e fuori tempo fare un necrologio. I morti si
onorano custodendone il ricordo nel nostro animo, cercando di
imitare l'onestà della loro vita, pensando ai parenti ed ai
colleghi del giudice Amato... i magistrati hanno oggi il diritto di
far sentire le loro ragioni e di vedere giustamente accontentate le
loro richieste concernenti progetti e problemi messi da tempo sul
tappeto e finora rimasti lettera morta".
Per Sergio Amato, il figlio del
magistrato, che all'epoca aveva sei anni, i mandanti e gli autori
dell'omicidio "Non si sono pentiti. Hanno un atteggiamento da
pentiti ma in realtà non lo sono. Loro mi hanno privato di mio
padre. Mi hanno privato, probabilmente, di tante possibilità nella
mia vita."